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31 marzo 2006


Prove dove e a che ora.

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27 marzo 2006

L'antico vizio italico

Da un blog in giro per la rete:

Periodicamente sembra riemergere l' antico vizio italico di dividersi,tra appartenenti alla medesima comunità,ed accapigliarsi su tutto,trasformando ogni questione in una questione "di vita o di morte":un tempo erano guelfi e ghibellini,poi papisti e laicisti,monarchici e repubblicani,giolittiani e antigiolittiani,interventisti e neutralisti,fascisti ed antifascisti,comunisti ed anticomunisti,filoberlusconiani ed antiberlusconiani... Senza voler assolutamente indulgere nel peggior relativismo qualunquista,per cui "un' idea vale l' altra",mi domando come mai ancor oggi,a quasi un secolo e mezzo dalla unificazione nazionale e sessant' anni dalla fine dell' ultima guerra,sembriamo,chi più chi meno,tutti tendenti a privilegiare e persino coltivare ciò che ci divide,rispetto a ciò che,comunque,ci unisce.
Mi pare una chiave di lettura,questa,utile anche per accostarsi,con sufficiente distacco - che non equivale affatto all' imparzialità (=chi può davvero giudicarsi assolutamente imparziale,oggi,tanto più politicamente?) - ,al dibattito politico italiano,che si và evidentemente inasprendo,con l' approssimarsi della tornata elettorale del 9 e 10 aprile prossimi.
La competizione politica,che si svolge in una società aperta,complessa,di massa,porta fisiologicamente a distinguersi,in due (o più) partiti/schieramenti politici,ognuno dei quali ha legittimamente sviluppato e coltivato un proprio disegno di governo,che sottopone all' esame dell' elettorato per riceverne,eventualmente,quel mandato necessario per (tentare di) tradurlo in atto:è un suo preciso diritto/dovere,speculare a quello della opposizione (vigilare sull' operato del governo e,nel contempo,prepararsi per divenire,un domani,nuova classe di governo). Inoltre,in questa nostra società ampiamente secolarizzata,la militanza politica (più o meno) attiva ha di fatto sostituito,o comunque si è sovrapposta,all' attività nelle comunità parrocchiali di un tempo,con i vari partiti nel ruolo di altrettante,per così dire,"chiese" (ideologiche/culturali).
Tuttavia persiste,evidentemente,l' abitudine mentale di considerare ogni appuntamento elettorale alla stregua d'un "giudizio divino",di uno scontro apocalittico tra le forze del bene e quelle del male:così,ad esempio,la sinistra denuncia il "fascismo montante" che sarebbe rappresentato dalla coalizione di centrodestra,mentre,del resto,da destra si risponde agitando il "pericolo rosso",in una corsa costante alla reciproca delegittimazione,che finisce per danneggiare l' intera societò,intossicandola (chi ricorda i "formidabili" anni '70?).
Questo procedimento,evidentemente,implica una generica e neppure tanto sottintesa sfiducia dell' intero ceto politico verso il popolo-elettore (cioè tutti noi,in pratica),di fatto incapace di scegliere "ciò che è meglio per il Paese" senza la sua illuminata guida:un vizio che,francamente,mi sembra (ben) più radicato a sinistra,maggiormente legata a certi obsoleti clichè ideologici,ma al quale non risulta immune neppure certa destra che,dal rivendicare legittimamente i propri valori,giunge a screditare la parte avversa come "immorale" e "disgregatrice della società".
Forse dovremmo ricordarci tutti quanti che a confrontarsi sono i fautori di due progetti alternativi per la guida dell' Italia,che perciò debbono fisiologicamente competere tra loro per conquistare il necessario mandato degli elettori,non le Forze del Bene contro quelle del Male,impegnate in un apocalittico scontro finale:il 10 aprile,infatti,sarà ufficialmente terminata la campagna elettorale,ma l' Italia continuerà pur sempre ad esistere.
Da italiano,quantunque assolutamente parziale ,e per quel poco che può - forse - valere il mio intendimento personale,farò i migliori auguri alla coalizione vincitrice,incaricata dal popolo sovrano dell' altissima responsabilità di guidare,o tornare a guidare,il mio Paese,rendendo nel contempo onore alla parte sconfitta.


I blog stanno diventando come le poesie: non sono di chi le scrive ma di chi le legge.

Saluti,

Touch.

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24 marzo 2006

Prove dove?

Dove prove?

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22 marzo 2006

Mina


La luna e' alta com'e' svelta
forse non t'ha visto mai
senno' starebbe qui a guardarti
non andrebbe a letto mai.

Ninna nanna sotto gli alberi
e tu inventami qualche favola
stelle non fate briciole
la luce fa male all'amore.

buonanotte buonanotte
ai delfini ai naviganti
ai lampioni ai fiori e
ai vecchi mendicanti
buonanotte a voi amanti

buonanotte buonanotte
anche a chi non dormira'
e a chi lo fa
a chi ha perso un altro giorno di cammino
e a chi invece e'gia' vicino

buonanotte a un sogno piccolo
perche' poi si avverera' e non lo sa
alle donne ai cacciatori senza mira e senza cuore
buonanotte a te amore

la luna aspetta questa notte
forse non se ne andra' via
perche' la gente e' dolce quando dorme
sa di nostalgia

buonanotte buonanotte
ai bambini a tutti quanti
ai paesi con le case senza niente
buonanotte alla mia gente

buonanotte buonanotte
alla pace se verra' noi siamo qua
a chi inventa in un sorriso di speranza
e a chi sbaglia e non ci pensa

buonanotte ai cuori teneri
che non tremeranno mai
al silenzio al tuo respiro
a questa notte che ora muore
buonanotte a te amore mio...


Chi ha il coraggio di parlare di Mina?

Salute,
Touch.

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17 marzo 2006

Casa

Penso che studierò il maori quest'anno, mi sembra più importante conoscere il linguaggio nativo del mio paese. Sai, così mi sento meno un estraneo in un posto dove lamia famiglia ha vissuto per generazioni.
E' una situazione strana essere discendente di immigrati provenienti dall'altra parte del mondo. Certe volte penso che in 150 anni gli europei (di qui) non hanno ancora trovato la loro casa. Un'amica ha fatto un video in cui filmava la gente, chiedendo che cosa significava 'casa' per loro. pochissimi sembravano davvero sicuri, e descrivevano la casa come un sentimento, o essere con la famiglia.
I maori intervistati spesso rispondevano che 'casa' era un a certa regione del paese.
Che parte del paese è casa per me? Il manawatu dove il mio bisnonno si è stabilito arrivando dall'irlanda e dove generazioni successive hanno vissuto (adesso quasi tutti trasferiti a Auckland)? E' Hamilton, dove sono cresciuto? O Auckland, dove ora viviamo io e i miei genitori? Non c'è un settore del paese che sento come casa, dopo 4 generazioni ancora non so rispondere alla domanda su cosa sia 'casa'...

Per me, dove c'è Barilla c'è casa.
Per voi?

Salute,
Touch

... ci sono i vigiliiii!

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14 marzo 2006

Amici di Alessandro

Un po' di febbre. Niente di preoccupante, niente di grave. Chi ha figli sa bene che queste cose succedono: una suppostina, una notte di sonno e via, passa tutto. Alessandro quella sera di venerdì 11 novembre 2005 aveva la temperatura alta. Non ci siamo allarmati.

Alessandro è il nostro secondo bambino, è nato a Roma il 26 maggio del 2004. Con la più grande, Cecilia, cinque anni a luglio prossimo, ci eravamo già passati tante altre volte: influenze, raffreddori, malattie esantematiche. Non siamo genitori particolarmente ansiosi, e con Alessandro che è sempre stato un bimbo sano e forte abbiamo affrontato tutto con grande disinvoltura.
Ma la mattina del 12 novembre ci siamo subito accorti che quella non era una febbre qualsiasi. Alessandro aveva macchie su tutto il corpo, macchie strane. E la temperatura, appena sveglio, già sfiorava i quaranta gradi. Abbiamo subito capito che era qualcosa di grave, di gravissimo. Una parola che solo a pronunciarla fa paura: meningite, per poi scoprire che era ancor di più, sepsi meningococcica. Non c'era tempo da perdere. Non c'era quasi più tempo.
Una corsa all'ospedale più vicino a casa, il Policlinico Umberto I.

E' inutile raccontare il terrore, la pena, l'angoscia: non ci sono parole adeguate. Al Pronto Soccorso Pediatrico hanno lottato contro il tempo, contro i minuti che scivolavano via mentre la vita di Alessandro era legata a un filo di speranza sempre più sottile. Sempre più sottile. Più sottile. Un niente lo teneva ancora legato alla vita.
A quel poco più di niente Alessandro è rimasto appeso per dieci giorni nella sua piccola stanzetta della Terapia Intensiva Pediatrica. In coma. Vederlo lì, dietro al vetro, collegato a sonde e tubi. Il nostro bambino. Il nostro piccolo Alessandro nell'ombra cupa, nel buio, nell'abisso del male che se lo voleva portare via.
Ciascuno di noi può ritenere che lo abbiano salvato le preghiere di chi ha pregato, l'amore di chi lo ha amato e lo ama, la forza disperata che ciascun genitore ritrova in se stesso quando è in gioco la vita dei propri figli. Non lo sapremo mai.

Ma sappiamo una cosa. E la sappiamo con certezza. Alessandro è stato salvato dalla straordinaria squadra di medici, infermieri, portantini della Terapia Intensiva Pediatrica del Policlinico Umberto I di Roma. Sotto la guida del professor Corrado Moretti, Primario anche del Prono Soccorso Pediatrico, abbiamo visto quegli uomini e quelle donne lavorare senza sosta, in situazioni troppo spesso inadeguate. Hanno fatto tutto il possibile per salvare Alessandro e non abbiamo mai sentito una volta le parole della burocrazia: "Non si può fare, non è di mia competenza, è fuori dal mio orario di lavoro".

Alessandro ha trovato in quel reparto tanti padri e madri e sorelle e fratelli: professionisti che gli hanno voluto bene perché, molto semplicemente, un bambino da salvare è una vita da salvare e da rispettare. E siamo stati salvati e rispettati anche noi genitori: con delicatezza, con tatto, con gentilezza e affetto.
Questa è una favola brutta a lieto fine. Alessandro è stato salvato. E' tornato a casa, dalla sua sorellina, dal suo papà e dalla sua mamma. Ma noi sappiamo che Alessandro ha adesso un'altra casa, un luogo dove è nato per la seconda volta.
Ecco perché abbiamo voluto dire grazie a tutti quelli che gli hanno salvato la vita. Ma vogliamo dire un grazie anche più grande e ambizioso: un grazie a tutti quelli che faranno qualcosa per questi medici e per questo lavoro.


Andate qui : http://www.amicidialessandro.it/.

Ciao,
Touch.

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13 marzo 2006

Le mie parole sono sassi, precisi, aguzzi, da scagliare..


Forse Bersani voleva parafrasare Pasolini.
Certo è che molto spesso bisognerebbe pulirsi con la carta igienica la bocca dopo aver parlato.
In questi giorni si assiste allibiti ad esternazioni a dir poco avvilenti e razziste tipo la Mussolini(clik qui per leggere un mio commento specifico), o la indubbia figura di cavolfiori in europa conosciuta dalla maggioranza degli italiani come una semplice battuta infelice fatta a Mr. Schulz (clik qui, tratto da Quando c'era Silvio che consiglio di comprare tanto per informarsi un po'..). Ma non basta avvilirsi.
Invece c'è da preoccuparsi.
C'è da preoccuparsi per quel modo che abbiamo di giustificare tutto, di pensare solo alla nostra pancia fino a quando non sbattiamo il muso su qualche problema grosso e a quel punto è colpa degli altri che non ci aiutano.
Per favore non chiudere è nato con e dall'esigenza di riuscire ad emozionare, a ricordare, a farci immedesimare in una realtà (immigrazione/emigrazione) che abbiam vissuto noi italiani sulla nostra pelle e che non vogliamo ricordare.
Se ora andassi in america a cercar lavoro, mi piacerebbe esser rinchiuso in un CENTRO DI ACCOGLIENZA PROVVISORIO, che in realtà viene gestito come un carcere lager (oltre a Mare Nostrum di Stefano Mencherini già citato in un'altro post e trovatevi l'inchiesta di Gatti il giornalista dell'espresso che si è fatto passare extracomunitario e rinchiudere in un CPT)?
Come si può accettare? E se succedesse veramente a noi? Mica è così inverosimile. Le aziende al Nord stanno chiudendo, la Cina ( e paesi 'affini') si prospetta diventare la nuova egemonia economica mondiale grazie alla sua disumana politica di sfruttamento e di bassissimi costi del lavoro.
Senza contare che abbiam sfruttato e ammazzato solo per vivere al calduccio con tutti i confort e la merendina pronta davanti alla tv (vedi post precedente a riguardo e al cinema Syriana, quest'ultimo da vedere armati di santa pazienza e attenzione).
Forse sono io che dovrei farmi i fatti miei e lasciare che ogniuno pensi per sè. Tanto come diceva il buon imprenditore Donato Vozza ai genitori dei bimbi morti nella sua vetreria: prima o poi tutti si deve morire.

Ma non ce la faccio..

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03 marzo 2006



DAL 4 MARZO AL 1 APRILE 2006

PIERO SIMON OSTAN & MARCO BORTOLOZZO espongono


"HAPPY BIRTHDAY WAR"
inaugurazione sabato 4 marzo - ore 18.30

Ciò che vedete è una raccolta d’espressioni. Chi è il soggetto? Un ragazzo di meno di trent’anni, figlio della guerra fredda: nato quando l’idea di un possibile conflitto era qualcosa di apocalittico e devastante. Non esiste più quel tempo. Oggi anche il concetto di guerra è cambiato. Il fulcro della contesa non è più la distruzione dell’avversario o la sua resa, ma il controllo della sua economia. E la guerra cosa porta? Odio, violenza, morte…certo! Ma anche soldi. Soldi a tutti coloro che vogliono investirci. Uno Stato che entra in guerra aumenta la propria produttività e i propri guadagni. Allora in quel “bel Paese” l’economia ne trae beneficio. Guardate le foto… Guardate il ragazzo… Egli è lo specchio della nostra società. Pronto a giurare di essere contrario alla guerra, di non sopportare gli U. S. A., di non mangiare hamburger. Ma non vuole, e forse non può, non comprarsi gli occhiali alla moda e fare il pieno di benzina per andare a prendere la fidanzata… E’ felice il nostro ragazzo, ma in cuor suo ogni volta che va a fare il pieno gli girano gli attributi perché vede che il prezzo al litro è aumentato… Ride, esce con gli amici, si diverte… Il nostro eroe non è insensibile ai problemi del suo tempo, non è disinteressato. Ha la serenità della distanza: egli è lontano dai gravi fatti che colpiscono la società. Ma spesso gli torna in mente la notizia sentita alla radio o letta sul giornale… allora vuol parlarne, vuol comunicare la sua opinione, vuol sentirne di diverse dalla sua. Anche questo ha spinto due artisti di Portogruaro a creare ciò che vedete. Entrambi laureati, uno in lettere e l’altro in arti grafiche: combinazione che porta l’immagine al servizio della parola e viceversa. Uno si esprime con poesia, l’altro crea tutto ciò che l’ingegno gli suggerisce. Sono diversi, ma con tante cose in comune: la musica, il teatro e la voglia di comunicare. La loro creatura è davanti ai vostri occhi. Ora guardate quelli del ragazzo nelle foto... Vedrete che al loro interno c’è la voglia di continuare a vivere sereno, cercando se possibile di cambiare la società in cui si trova, ma sapendo che la società stessa l’ha plasmato e a lei deve rendere conto.

(Silvio Battiston)

www.oplapiu.it/wat.htm

http://www.portodeibenandanti.org/

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